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La rivista del Centro

Annali di Architettura 6/1994

Deborah Howard
Responses to Ancient Greek Architecture in Renaissance Venice
pp. 23‐38.

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Nonostante Venezia fosse probabilmente il più famoso centro di diffusione del greco del rinascimento nell’Europa occidentale, il corpo di guardia dell’Arsenale non risale a una data anteriore al 1829. Questo saggio analizza i motivi per cui Venezia, nonostante il suo grande entusiasmo per il sapere greco, venne influenzata così debolmente dall’eredità architettonica dell’antica Grecia. Infatti, anche se Aldo Manuzio si riferiva alla città come a una “alterae Athenae”, l’interesse veneziano nei confronti delle rovine di Atene fu minimo. Atene non era inaccessibile ai visitatori occidentali, dato che, a partire dalla quarta crociata, nel 1204, fino alla sua presa da parte dei turchi nel 1456, era stata dominata dai latini e anzi dal 1388 in poi era stata addirittura retta dalla famiglia fiorentina degli Acciajuoli, salvo un breve periodo di egemonia veneziana tra il 1395 e il 1402-03.I Propilei erano stati trasformati nel palazzo dei duchi Acciajuoli e il Partenone, ancora intatto e dedicato alla Vergine, ne era la cattedrale.Ciononostante gli incentivi a visitare Atene erano scarsi e la città nel frattempo era diventata un piccolo centro produttore di miele e di olio d’oliva o poco più. Non si trovava infatti lungo le più frequentate vie commerciali del mediterraneo orientale e nemmeno la Geografia di Tolomeo, testo conosciutissimo nel XVI secolo, riuscì a risvegliare la curiosità veneziana, a dispetto della grande chiarezza delle spiegazioni sulla localizzazione dei più importanti templi greci. Una delle ragioni per cui i veneziani non furono attratti dall’eredità culturale e architettonica dell’antica Grecia si spiega con il fatto che le rovine non corrispondevano alla loro immagine ideale di “grecità”. Nel rinascimento infatti il termine “greco” significava bizantino e persino Scamozzi nel 1615 credette che Santa Sofia a Istanbul fosse un antico edificio greco. Neppure il testo di Vitruvio serviva a fare luce sulla realtà dato che asseriva che gli antichi raramente usavano l’ordine dorico nei loro templi, né la stessa guida della Grecia di Pausania, stampata a Venezia nel 1516, suscitava interesse archeologico di alcun tipo. L’unico visitatore italiano del XV secolo che riuscì a identificare correttamente gli edifici dell’Acropoli fu il colto “philellene” Ciriaco d’Ancona. Tra i suoi amici figuravano diversi importanti studiosi veneziani di antichità classica, per cui molte delle copie sopravvissute dei suoi perduti Commentari possono essere rintracciata nelle biblioteche di alcuni umanisti di Venezia e di Padova. Uno di questi è il Codice Hamiltoniano, appartenuto al vescovo di Padova, Pietro Donato. Il manoscritto include un disegno del Partenone che lo ritrae come tempio ottastilo, dorico, provvisto di timpano. Sebbene dopo la caduta dell’impero bizantino fosse possibile visitare le antiche città greche come tali; un viaggiatore veneziano in visita ad Atene nel 1470 definì il Partenone “tempio romano”. I disegni di Ciriaco, già esistenti a quell’epoca, erano conosciuti ma non capiti fino in fondo; persino Giuliano da Sangallo, che aveva copiato molti dei disegni di Ciriaco, aveva “migliorato” i Partenone attribuendogli un ordine composito, tra l’altro l’unico a non essere di origine greca.Nel 1511 Fra Giocondo, membro dell’Accademia Aldina e descritto da Vasari come “bonissimo greco”, pubblicando la sua edizione illustrata di Vitruvio, non solo inserì correttamente le parole greche che erano state omesse, ma eliminò anche gli errori dei copisti dal testo latino. Questa fonte importante per la conoscenza della cultura greca, edita a Venezia e dedicata a Giulio II in un breve periodo di avvicinamento tra Venezia e la Chiesa durante le guerre di Cambrai, avrebbe dovute preparare entrambe le città a uno studio più approfondito del mondo greco. Vasari sostiene che Raffaello per comporre il suo affresco La Scuola d’Atene mandò un disegnatore in Grecia, ma l’ispirazione del quadro è senza alcuna ambiguità “romana”, così come non ebbe alcun seguito il progetto dello stesso Fra Giocondo di ricostruire, dopo il devastante incendio del 1514, la piazza di Rialto sul modello di un’agora greca. Analogamente, sul piano ideale, il ricupero veneziano dopo Cambrai si realizzò nel mito della città come “altera Roma” durante il governo del doge Gritti, tanto che quello di “alterae Athenae” lentamente si dissolse.

Sanmicheli visitò le isole greche come il suo predecessore Fra Giocondo, pur non avendo avuto le basi culturali del suo erudito precursore; l’unico edificio da lui costruito che risenta in qualche modo dell’influsso greco è il portale del palazzo del Podestà a Verona del 1533. Quest’ultimo presenta infatti capitelli ionici simili ai prototipi ellenici del tempio di Apollo a Didimo. Serlio ha illustrato un unico edificio greco nel Libro III Delle antichità (1540), un’aula ipostila con cento colonne, che sembra una reminiscenza del tempio di Giove Olimpico ad Atene. Persino la scena tebana per l’Edipo Re di Sofocle nel teatro Olimpico di Palladio fu apertamente romana. Atene si era trasformata in un centro mitico, per lungo tempo offuscata da Roma. Se Scamozzi pensava che le rovine della città fossero state saccheggiate, fu solo nel 1687, con il bombardamento del Partenone, che si avverò la reale distruzione, effettuata, ironica della sorte, per mano degli stessi veneziani. 

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