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La rivista del Centro

Annali di Architettura 7/1995

Juergen Schulz
The restoration of the Fondaco dei Turchi
pp. 19‐28.

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Il saggio inizia trattando gli ultimi passaggi di proprietà e le ultime manomissioni subite dall’edificio, nonché i vari sforzi compiuti da parte dei cultori della civiltà veneziana di condurre le pubbliche autorità all’acquisto e al restauro degli avanzi rovinosi esistenti nella seconda metà dell’Ottocento. L’acquisto fu realizzato nel 1860; a questa data seguì quasi un decennio di lavori di consolidamento, restauro e ristrutturazioni volti a riqualificare il fabbricato come sede di un museo civico ed a rimettere a nuovo il prospetto diroccato sul Canal Grande. È possibile seguire in maniera dettagliata l’andamento di questi lavori tramite lo spoglio di documenti d’archivio, le cui serie originali vengono poi riportate in un’appendice al saggio. I lavori furono progettati e guidati da un giovane architetto, Federico Berchet, sotto la direzione dell’Ingegnere Direttore dell’Ufficio tecnico municipale, Giuseppe Bianco. I lavori ordinari di demolizione e di costruzione furono affidati all’impresa edile di Sebastiano Cadel, mentre la revisione degli elementi in pietra fu assegnata alla ditta dello scalpellino Giacomo Spiera. Le demolizioni riguardarono le strutture aggiunte all’edificio in epoche più recenti – come una casa addossata al prospetto principale, varie pareti divisorie all’interno – e le parti antiche giudicate troppo logorate dalle ingiurie del tempo per poter reggere in futuro e perciò riedificate con materiali nuovi (il muro verso il cortile retrostante, quello fra il loggiato del prospetto e le sale interne, i muri esterni della torre di destra). Sulle strette facciate laterali furono applicati nuovi ordini di finestre e di portali di gusto pseudo-bizantino, per rendere il fabbricato più omogeneo e più monumentale nello stile. Il prospetto sul Canal Grande, che si volle ricondurre allo stato originario, subì molte integrazioni invece, ma pochi cambiamenti nel senso stretto della parola. In altre parole la quasi totalità degli elementi ricollocati sulla facciata erano stati presenti in passato o le loro forme esatte erano attestate da antiche vedute dipinte o incise, nonché dalle macerie trovate in sito. Questi elementi comprendevano il rivestimento marmoreo, i piccoli rilievi (patere e formelle) infissi sopra le logge e le finestre e il coronamento di merli decorativi del corpo centrale. D’altra parte, le torrette angolari, la cui riedificazione venne considerata un sine qua non, erano attestate in maniera imprecisa e dovettero essere progettate senza l’aiuto di raffigurazioni antiche. In questo caso specifico effettivamente si annidava il pericolo di “aberrazioni”: infatti le torrette costruite in seguito ai disegni di Berchet sono più alte e hanno un numero maggiore di finestre rispetto a quelle descritte nella documentazione antica, inoltre sono coronate da una teoria raccorciata di piccoli merli senza parallelo nell’architettura medievale veneziana. Certe integrazioni furono senza dubbio avventate, come l’installazione di transenne dentro alle finestre, due delle quali ritrovate tra le macerie sul sito e le rimanenti ricopiate da esse. Fu certamente uno sbaglio il completamento della frammentaria balaustrata rinascimentale della loggia superiore con pezzi in stile medievale, francamente falsi. Tuttavia la maggior parte degli elementi superstiti in pietra – gli archivolti, le basi, i capitelli ed i fusti delle colonne e dei pilastri, le finestre, i portali, ecc. - fu conservata benché ripulita e integrata per mezzo di tasselli in ogni sua zona danneggiata. La condanna generale di questo restauro da parte dei critici moderni è dovuta a due presupposti erronei. Uno di questi è l’idea che i lavori fossero tesi a conservare inalterato tutto ciò che era sopravvissuto del fabbricato medievale. Invece, l’intenzione delle autorità e dei progettisti era quella di adattare l’edificio ad un nuovo utilizzo e di farne un fabbricato completo e ornato, conveniente alla funzione di un istituto culturale municipale. Solo il prospetto principale doveva rimanere esente da cambiamenti. L’altro errore è quello di giudicare la facciata restaurata secondo gli attuali criteri di restauro architettonico. La teoria corrente durante il periodo dei lavori al Fondaco era invece quella del restauro integrativo, esposta negli scritti didattici e storici e dimostrata negli interventi operativi, di Eugène Viollet-Le-Duc, i cui requisiti furono adempiuti nei lavori del Fondaco in modo quasi esemplare. Furono le critiche di John Ruskin a mettere per la prima volta in discussione i criteri di Viollet e dei suoi seguaci, che alla fine promossero l’adozione della teoria moderna del restauro conservativo. Quindi, giudicare la facciata restaurata secondo le norme di questa teoria è anacronistico e mette in dubbio immeritatamente l’opera dei veneziani, che riuscirono largamente nello scopo prefissosi, cioè di rimettere a nuovo la facciata del Fondaco dei Turchi.

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