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The magazine of the Centro

Annali di Architettura 33/2021

Maddalena Scimemi
Da vicariato a feudo con tanta, et si subita magnificenza. Sangallo il Giovane e l’architettura per lo Stato farnesiano
pp. 65‐92.

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Negli anni della maturità, Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546) è al servizio di Pier Luigi Farnese, figlio del pontefice Paolo III, gonfaloniere della Chiesa e Primus Dux di Castro.

Per l’architetto della basilica di San Pietro, sin dal 1513 impegnato per i Farnese nel palazzo di Roma e nei vicariati della provincia del Patrimonium, si tratta di mantenere un rapporto di fiducia consolidato in trent’anni di incarichi, oltre che dell’occasione per moltiplicare il numero di cantieri sotto la sua direzione, per quanto distanti da Roma e difficili da gestire. Gli interventi più significativi, concentrati nelle città di Castro e di Nepi (1538-1546), contemplano architetture religiose, militari e civili e coincidono significativamente con i lavori della Sala Regia in Vaticano: il nuovo rango ducale acquisito dalla famiglia del pontefice va interpretato in questa luce, puntata sul conseguimento anche in provincia di rappresentazioni dell’auctoritas farnesiana con rilevanza internazionale.

Le tracce, frammentarie e poco visibili a distanza di cinque secoli, non rendono ragione delle strategie e delle ambizioni delle opere. Lo studio ne propone una lettura d’insieme, a partire dalla loro collocazione sul territorio, dai numerosi disegni del corpus sangallesco e dalle testimonianze scritte – di pugno dell’architetto – che le documentano. La ‘maniera ducale’ adottata da Sangallo, nella quale convivono modelli romani, spagnoli e veneti combinati con emblemi araldici, apparati decorativi e dettagli desunti dall’antico, si configura come un esempio di ‘architettura parlante’ ante litteram, riflesso di una rete di coincidenze, frequentazioni e contatti da ostentare tanto quanto l’eredità della Roma imperiale.

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