Carlo ScarpaMostre e musei 1944-1976; Case e paesaggi 1972-1978Vicenza, palazzo Barbarano. 9 September - 9 December 2000
a cura di Guido Beltramini, Kurt W. Forster e Paola Marini
in collaborazione con Canadian Centre for Architecture, Montreal e Museo di Castelvecchio, Verona
a cura di Guido Beltramini, Kurt W. Forster e Paola Marini
in collaborazione con Canadian Centre for Architecture, Montreal e Museo di Castelvecchio, Verona
Presentation
La mostra, curata da Guido Beltramini, Kurt W. Forster e Paola Marini, è dedicata a due aspetti centrali dell'opera del celebre architetto. Un unico tema, infatti, viene presentato in due sedi diverse: il Museo di Castelvecchio accoglie la sezione "mostre e musei 1944-1976", il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza accoglie, nella sua sede palladiana di Palazzo Barbarano, la sezione "case e paesaggi 1972-1978".
A Verona vengono proposti dieci allestimenti di mostre e nove progetti di musei, realizzati e non, raccolti intorno alla ricostruzione della personale di Scarpa alla Biennale 1968; essi precedono l'esposizione di una significativa scelta dei disegni per il restauro e l'allestimento di Castelvecchio, eccezionalmente esibiti nelle sale del museo, a diretto riscontro dell'architettura e delle strutture espositive.
A Vicenza sono presentati diciannove progetti chiave dell'ultimo decennio di vita di Scarpa, quando l'architetto ormai sessantenne vive una nuova giovinezza creativa, caratterizzata da un'intensa ricerca spaziale e da un meditato rapporto fra architettura e paesaggio. Si tratta di progetti ideati da Scarpa nella propria casa-studio di Vicenza, dove si era trasferito in quegli anni, o realizzati per committenti pubblici e privati vicentini, molti dei quali inediti e presentati per la prima volta.
In tutto sono esposti 400 disegni originali, accompagnati da sculture, modelli, fotografie, filmati, per un totale di oltre 600 pezzi. L'unità della mostra, fisicamente separata fra Vicenza e Verona, è restituita su Internet (nel sito: www.cisapalladio.org) ed in ognuna delle due sedi, dove al termine del percorso espositivo una stazione multimediale consente una visita virtuale interattiva all'altra sezione, il tutto a cura di Altermedia di Venezia. L'iniziativa è promossa dalla Regione del Veneto, dal Comune di Verona - Assessorato alla Cultura, Museo di Castelvecchio, da Provincia, Comune e Camera di Commercio di Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, in collaborazione con il Centre Canadien d'Artchitecture di Montréal e l'Ordine degli Architetti di Vicenza. Lo sponsor ufficiale è la Banca Popolare di Verona - Banco S. Geminiano e S. Prospero. La mostra nasce in stretta collaborazione con l'Archivio Carlo Scarpa di Trevignano, sulla base di un progetto pluriennale di ricerca che ha portato alla precatalogazione completa di circa 3000 fogli conservati nell'archivio, e alla catalogazione scientifica e scansione elettronica ad alta risoluzione di circa un quarto di essi, come contributo ad un catalogo generale dell'opera grafica di Carlo Scarpa.
L'allestimento al Museo di Castelvecchio è curato dagli architetti Guido Pietropoli e Giuseppe Tommasi, con Alba Di Lieto; a palazzo Barbaran da Porto da Umberto Riva.
Scarpa ritornava spesso su temi topografici, che si rivelano fondamentali sia per le sue opere a cielo aperto, sia per gli allestimenti di opere d'arte in ambienti interni: musei e mostre. Perfino entro spazi limitati egli disponeva gli elementi compositivi in sintonia con concetti ambientali, che non derivano né dalla prassi vernacolare né dalla teoria dell'architettura moderna. Anche i rapporti funzionali erano trattati da Scarpa secondo i propri concetti astratti, più affini a un senso carismatico del mondo terrestre (ben presente nei riti orientali per la scelta dei luoghi dove edificare e nei costumi cinesi e giapponesi) che ai dispositivi razionali della tradizione europea. Non si tratta di un vago e vuoto formalismo, ma piuttosto di una precisa volontà compositiva di Scarpa. La sua maturazione come architetto fu lunga e ponderata, ma con i grandi cantieri di Castelvecchio e della Tomba Brion, oltre alle poche case private e agli allestimenti di numerosi musei e mostre, Scarpa scoprì la propria originale matrice compositiva. Con crescente insistenza e, a volte, esasperante lentezza, egli ha inventato la propria mappa del mondo: una mappa di ampiezza tale da inglobare le sue idee di territorio e le sue ossessioni private.
Nel campo della museografia, Scarpa ha introdotto l'idea di un percorso narrativo, sperimentato per la prima volta nella famosa mostra "Da Altichiero a Pisanello" (Verona, 1958), e sviluppato e approfondito in parallelo al procedere dei restauri di Castelvecchio, dove la mostra fu tenuta. Per ogni opera da esporre l'architetto cercava di trovare un luogo preciso, il montaggio appropriato per poterla staccare dal consueto, e come tale accecante, contesto. I rapporti con altri oggetti, o il distacco calibrato da essi, portava a una strategia espositiva capace di inserire le opere in un discorso. La sintassi di questo discorso è spaziale e quindi ricca di flessi e di svolte, mentre i suoi sillogismi sono estetici e storici. I numerosi allestimenti di mostre a Milano, Verona, Venezia, Treviso, Roma, Messina e all'estero propongono complessivamente un concetto di percorso visivo che accentua la frammentarietà degli oggetti-opere all'interno di un contesto radicalmente contemporaneo. Pochi architetti sono riusciti a costituire un tale discorso "oggettivo" sulla base di percezioni non-verbali dell'arte.
Chi studia e interpreta oggi Scarpa, tanti anni dopo le polemiche che lo hanno circondato - auto-costituito com'era al di fuori delle convenzioni professionali e accademiche - si rende ben conto che non si tratta semplicemente di una figura insolita o di uno sperduto artigiano in cerca di qualità perdute. Uomo di grande cultura letteraria, appassionato di poesia moderna, oltre che di arti figurative, Scarpa inventa una nuova architettura sotto mentite spoglie di artigiano veneziano. La radicale artificiosità di molti progetti non nasconde il dilemma dell'architettura italiana del dopoguerra, e ancora meno tradisce la responsabilità dell'insegnante che deve sempre risvegliare i conflitti latenti in nome della sua arte.