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Annali di Architettura 34/2022

Fulvio Lenzo
“Bramante and Michelangelo might never have lived”. Anthony Blunt storico dell’architettura
pp. 183‐196.

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Anthony Blunt (1907-1983) è stato uno degli storici dell’arte e dell’architettura più importanti e prolifici del secolo scorso, vantando una produzione che annovera una trentina di monografie, circa trecentocinquanta articoli e saggi e più di quattrocentocinquanta recensioni. Tuttavia, le sue eccezionali vicende personali hanno finora distratto da una valutazione oggettiva del fondamentale apporto alla storiografia dell’arte francese e italiana dei secoli XVI-XVIII.

Questo articolo analizza i suoi contributi alla storia dell’architettura, apparentemente sempre in bilico fra estremi opposti: Francia e Italia, classicismo e barocco, arte come creazione dell’individuo – Nicolas Poussin, François Mansart, Philibert de l’Orme, Francesco Borromini – oppure quale prodotto di un preciso ambiente culturale e sociale come la Francia, la Sicilia, Napoli o Roma. Una lettura complessiva della sua produzione, invece, rivela l’esistenza di nessi profondi fra queste apparenti antinomie, poiché ciò che realmente interessa a Blunt non sono gli estremi, ma il campo di mezzo: le interazioni fra individuo e società, le contaminazioni fra tradizioni locali e apporti esterni, i conflitti fra tendenze contrapposte. Consapevole di come sia sempre necessario interrogarsi senza accontentarsi di facili risposte, egli si concentra sugli oggetti artistici e traccia ogni volta nuovi quadri storiografici d’insieme ridisegnando con pazienza i contorni dei singoli elementi che ne fanno parte. La sintesi, che per Blunt è il vero obiettivo di ogni ricerca e il compito principale dello storico dell’arte, non può essere raggiunta se non come fase successiva all’analisi, poiché è soltanto attraverso questo processo che si riescono a evidenziare i nessi, le contraddizioni e le questioni ancora aperte.

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